emozioni la fenice centro di psicoterapia roma prati 12 Nov 2021

BY: admin

Psicologia

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Le emozioni fanno parte del nostro vissuto, sono una componente fondamentale di quel che siamo. Definirle in modo univoco non è semplice poiché ci sono vari aspetti da tenere in considerazione.

Innanzitutto, dobbiamo operare una distinzione tra le emozioni e gli stati d’animo e i sentimenti. Può capitare che nel linguaggio comune utilizziamo questi termini come sinonimi, sostituendoli tra loro in modo intercambiabile, come fossero la stessa cosa.

Ma esiste una precisa differenza.

I sentimenti sono caratterizzati da maggiore stabilità. Le emozioni, invece, sono volatili, incostanti, spesso evanescenti.

Recuperando la riflessione del grande maestro spirituale Eckhart Tolle, possiamo dire che le emozioni sono il corrispettivo nel corpo dei pensieri. Pensieri ed emozioni sono in stretta relazione tra loro, si influenzano a vicenda, nel bene e nel male.

Quando proviamo un’emozione, nel nostro corpo si attivano una serie di reazioni fisiche e cognitive, che servono a produrre una risposta a uno stimolo.

Da questo discende un’altra osservazione importante, che facciamo nostra a partire da quanto espresso dal filosofo Martin Heidegger nella sua fenomenologia: ognuno di noi è sempre preda di un’emozione. Quest’emozione potrebbe essere confusa, inconscia, talvolta persino poco percepibile, sotto soglia, perché quello che viviamo è un impasto di emozioni, in alcuni casi nebulose e in altri più definite.

Ma l’emozione c’è, sempre e comunque.

Così come è vero che – tranne quando ci troviamo in uno stato di profonda meditazione – è impossibile non pensare, è vero che non c’è momento in cui non proviamo un’emozione.

La scissione delle emozioni

Le emozioni, dunque, ci accompagnano costantemente lungo il corso della nostra vita. Ci sono in ogni momento, ma non sempre ne siamo consapevoli.

Talvolta, non siamo in grado di percepire quello che proviamo. Questo avviene quando mettiamo in atto il meccanismo di difesa della scissione.

Secondo la teoria psicoanalitica, i meccanismi di difesa sono delle strategie, delle operazioni mentali che servono a proteggerci da qualcosa che non siamo in grado di affrontare. La loro funzione è quella di impedirci di provare troppa angoscia.

La scissione taglia l’oggetto mentale in verticale, separandone le caratteristiche contraddittorie. Si conserva l’aspetto cognitivo, mentre il corrispettivo emotivo viene allontanato.

Quando la scissione è massiccia, l’emozione c’è ma non viene “sentita”, rimane a uno stato inconscio. Ciò non significa, però, che non si manifesta, anzi.

È qui che si apre il capitolo delle ansie.

Le emozioni che io scindo, infatti, non svaniscono. Esse rimangono dentro di me e tendono a riaffiorare, facendosi sentire forte e chiaro. Ma, a questo punto, quello che provo sono emozioni senza testa, prive del loro contenuto, che innescano una serie di reazioni nel mio corpo. Sento il respiro farsi affannoso, il cuore che comincia a battere sempre più forte, i muscoli farsi rigidi e tesi, delle modificazioni gastrointestinali.

Sono i classici sintomi dell’ansia.

Ma io, a livello conscio, non riesco a capire da dove provenga questa agitazione che mi scuote da dentro. Tutti questi cambiamenti, slegati dall’emozione, sembrano venire dal nulla, non avere alcun senso.

Ho l’impressione che il mio corpo stia impazzendo.

Questa sensazione sgradevole di andare completamente fuori controllo, genera in me un senso di allarme. Avverto tutto questo come un pericolo per la mia incolumità, cosa che innesca una forte paura. Quest’emozione, a sua volta, accentua e intensifica le sensazioni corporee.

Invece di sentirmi meglio, mi sento sempre peggio.

Quello che si crea è un circolo vizioso che si auto-alimenta e che può condurre fino all’attacco di panico.

Le emozioni del passato influenzano il presente

Per comprendere davvero le emozioni, c’è un altro aspetto da prendere in considerazione.

Secondo gli insegnamenti del buddhismo, le emozioni perturbatrici sono le principali artefici della sofferenza dell’essere umano. Tra di esse c’è l’ira cioè la rabbia.

Declinando questi concetti in ottica psicoanalitica, possiamo dire che molti disagi relazionali nascono dalla rabbia, dall’incapacità di gestire la rabbia.

Ma spesso, al di sotto di questa rabbia, si nasconde qualcos’altro, che affonda le radici nel nostro passato: la paura.

Le esperienze che viviamo durante la nostra infanzia modellano il nostro modo di vedere gli altri e di relazionarci con loro. Se le nostre relazioni fondanti – quelle con i nostri genitori o con chi ci accudiva da bambini – sono state negative, all’insegna del maltrattamento o dell’abbandono, tenderemo a vivere le nostre relazioni adulte come un contesto pericoloso.

Questo avviene perché proiettiamo sulle relazioni attuali i disagi vissuti in quelle passate. Se questi disagi sono stati molto forti, quando entrerò in contatto con qualcuno, avvertirò un senso di allarme e di pericolo. Proverò un’intensa paura che si converte in rabbia, l’emozione che la natura ci ha dato per proteggerci dai pericoli, da ciò che invade il nostro spazio.

Le emozioni di rabbia e paura, dunque, derivano da una distorsione percettiva. Un passato difficile o traumatico deposita dentro di noi un senso di vuoto, di tristezza, che genera pensieri di preoccupazione, di paura etc. Questi pensieri, a loro volta, a catena, innescano delle emozioni coerenti, triste e cupe, di profonda angoscia, capaci di richiamare pensieri ancora più oscuri, deformati. È così che si genera una sofferenza che Ekhart Tolle chiama corpo di dolore, qualcosa che ci rimane dentro finché non riusciamo a liberarci.

Nel momento in cui divento consapevole di questa dinamica inconscia, che mettiamo in atto in automatico, la dinamica perde forza. La paura non ha più motivo di esistere perché non è coerente col presente ma viene dal passato.

Se pensiamo alla relazione tra emozioni e pensieri, ci rendiamo conto che c’è un aspetto oscuro e uno di luce in tutto questo.

Quello oscuro è immediatamente evidente. Se i pensieri cominciano a vorticare in questo modo e le emozioni vanno di pari passo, rischio di sprofondare in una dimensione in cui sento e penso in modo negativo, una dimensione che diventa la mia realtà quotidiana. Uscire da questa realtà può essere molto difficile, senza un aiuto esterno.

Ma c’è anche un aspetto luminoso in tutto questo.

Quando mi rendo conto quale influenza hanno i miei pensieri su di me, capisco che posso lavorare con il pensiero. Posso cercare di creare uno stato di presenza per il quale non sono più in balia dei miei pensieri. Posso provare ad applicare una sorta di igiene mentale, attraverso la meditazione oppure la psicoterapia, che mi aiutano a non essere più preda di pensieri ed emozioni.

Quando sono io a gestire i miei pensieri, il mio stato d’animo migliora e raggiungo un maggiore benessere.

Come vivere le emozioni in modo sano

Qual è allora il modo giusto per vivere le emozioni?

Per spiegarlo, prendiamo a prestito una metafora utilizzata dal grande psicanalista Carl Gustav Jung per spiegare il concetto di ombra.

Possiamo immaginare l’emozione come un cavallo che non può essere né ucciso né lasciato libero di correre a briglie sciolte, prendendo il sopravvento sul cavaliere.

Questo significa che non possiamo né vivere in uno stato di anestesia emotiva, che è quello che avviene quando entra in gioco la scissione, che ci priva della capacità di sentire le emozioni. Né tantomeno possiamo permettere che le emozioni ci dominino, perché questo potrebbe portare all’emersione di agiti caratteristici della sindrome borderline.

A differenza di quello che si pensa comunemente, vivere in modo autentico non significa sentire le emozioni così come sono e lasciarsi guidare dalle loro continue fluttuazioni.  Dobbiamo avere una buona competenza fenomenologica per poterle ascoltare, riconoscere e poi lasciare fluire, gestirle e interpretarle nel modo migliore.

Vivere in modo sano le emozioni, significa filtrarle ed elaborarle.

Dobbiamo sempre ricordare che le emozioni provengono dalla parte più antica e primitiva del nostro cervello e non sempre ci dicono la verità. Agirle in modo diretto, senza filtrarle prima, può provocare danni irreparabili a noi stessi e alle nostre relazioni.

Pensiamo, per esempio, alla rabbia di cui abbiamo parlato in precedenza, figlia di una distorsione che ci impedisce di vedere lucidamente quale che abbiamo di fronte.

Ma anche quando la rabbia non deriva da un meccanismo del genere, è bene non agirla direttamente. Occorre, piuttosto, incanalarla, convertirla in assertività che è la capacità di esprimere ciò di cui abbiamo bisogno, comunicare il nostro punto di vista, le nostre esigenze in modo fermo ma calmo, senza perdere la pazienza, senza scatti improvvisi di ira, senza aggressività.

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